INTERVENTO PRIMO MAGGIO

1 MAGGIO 2025

Intervento in piazza dell’Isolotto

 A Firenze è nata ALTEA, l’assemblea lavoro transfemminista e anticapitalista, di cui fanno parte Nonunadimeno, sindacati di base come CUB e COBAS scuola, appartenenti a diversi collettivi fiorentini e singole persone.

Abbiamo sentito l’esigenza di parlare di sicurezza, di precariato, di sfruttamento, di reddito partendo da un’ottica di genere, perché troppo spesso le donne e le soggettività queer vengono invisibilizzate quando si parla di lavoro.

Questo primo maggio siamo in piazza per Claudia, che lavora nella sanità. Claudia è  andata a lavorare col braccio rotto, aveva un gesso che le limitava i movimenti. Ma Claudia è andata a lavorare col braccio rotto e col gesso perché si sta specializzando e ha diritto a 30 giorni di malattia in un anno. Perché tanto: non è che sei in miniera.

Siamo in piazza per Lucia, che lavora in un pub fino a tardi la sera,  e quando esce percorre le strade buie e deserte con le chiavi in tasca, e ogni sera vive la paura di un’aggressione. Ha chiesto di essere spostata ad un orario pomeridiano, ma non l’ha ottenuto. Perché tanto: sei grande, non crederai al lupo cattivo.

Siamo in piazza per Emanuela, che fa la contabile da cinque anni nella stessa azienda, e quando è rientrata dalla maternità le hanno detto che doveva spostarsi al centralino. Perché tanto: o fai la mamma o lavori.

Siamo in piazza per Silvia che lavorava a tempo determinato nell’industria. Le piaceva il suo lavoro, era brava, le avevano detto che la avrebbero assunta. Silvia ha scoperto di avere un tumore, e ha dovuto prendere giorni di malattia per curarsi. Al termine del contratto Silvia non è stata assunta. Perché tanto: non puoi lavorare, devi pensare a curarti.

Siamo in piazza per Giulia, che una sera mentre usciva dall’ufficio è stata aggredita e molestata dal suo capo, non è riuscita a reagire e non è riuscita a denunciare, ma è stata costretta a cambiare lavoro per non incontrare più il molestatore. Perché tanto: probabilmente l’hai provocato tu.

Siamo in piazza per Donatella, che fa l’operaia in fabbrica. Una sera mentre si faceva la doccia negli spogliatoi dopo il turno si è accorta che un collega la stava filmando. Ha denunciato alle risorse umane. Ma poi la questione non è andata avanti. Perché tanto: lui è un padre di famiglia, non è che lo vuoi rovinare?

Siamo in piazza per Sabrina, è un’ingegnera e cerca un lavoro in ufficio tecnico, ma ai colloqui le chiedono se ha figli o se vuole averne. E non la assumono. Perché tanto: appena vi assumiamo voi fate un figlio e poi vi mettete a casa per due anni.

Siamo in piazza per Carla, che lavora in un bar del centro. E tutte le sere deve difendersi dagli assalti sessuali dei clienti maschi. Nessuno sembra accorgersene. Perché tanto: se ti vesti in quel modo è una chiara richiesta di attenzione!

Siamo in piazza per Gabriela, che viene dalla Romania; ha lasciato a casa due bambini piccoli, e quando torna al suo paese quasi non la riconoscono. Fa la badante per una signora non autosufficiente e il figlio della donna più volte l’ha molestata, finché ha lasciato il lavoro. Perché tanto: non venite tutte in Italia per sposarvi e sistemarvi?

Siamo in piazza per Teresa, che fa la macchinista in un teatro. Ogni giorno deve sorbirsi le battute dei colleghi uomini sull’inadeguatezza del “sesso debole”. Lei un po’ risponde a tono, ma spesso sta zitta e non si lamenta con il suo superiore. Perché tanto: avete voluto un lavoro da uomini, potevate restare a casa a cucinare!

Siamo in piazza per Benedetta che si sta specializzando per fare la chirurga. Quando va in sala operatoria, per poter operare le viene chiesto dal suo primario qualcosa in cambio. Perché tanto: se sei donna le cose te le devi conquistare in un certo modo. 

Siamo in piazza per Gilda, che si ferma oltre le ore di lavoro per finire ciò che resta da fare e non percepisce una retribuzione adeguata. Perché tanto: devi fare la gavetta.

Le storie cambiano il mondo. Siamo voce. 

Siamo qui perché vogliamo rendere visibili e dare riconoscimento a tutti quei lavori essenziali, sfruttati, precari, non riconosciuti come tali, a partire dal lavoro di cura, da sempre delegato alle donne.

Vogliamo la libertà di poter lavorare come e dove si vuole, senza la paura delle molestie e della violenza. Vogliamo la libertà di poter fare il lavoro che ci piace. Vogliamo la libertà dal ricatto di precariato, licenziamenti, sfruttamento.​​

Le leggi sul lavoro stanno annullando i diritti di chi lavora. L’arroganza aziendale supera qualsiasi limite con la complicità del governo. Aziende che indisturbate licenziano, chiudono le unità produttive incuranti di provocare una macelleria sociale soprattutto sul corpo delle donne. Si! Perché la violenza economica padronale di una azienda che chiude é più ingiusta e devastante sul corpo delle donne sulle soggettività, in una società dove le diseguaglianze sono radicate.

Noi non ci stiamo, vogliamo rompere questo muro di gomma di un sistema economico patriarcale e violento.

Vogliamo tutto, lo vogliamo tuttə e lo vogliamo subito!

 

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