Vogliamo giustizia da vivə, non ergastoli da mortə
Lotto tutti i giorni perché la donna che denuncia la violenza diventa l’imputata, e diventa oggetto di doppia violenza -dell’uomo e del tribunale-. Una volta che la donna decide di denunciare intraprende il percorso difficile dell’essere creduta.
Per questo qualcuna evita, qualche altra “si pente” di avere denunciato e sperato nella giustizia per uscire da situazioni umilianti e violente. Nelle aule giudiziarie penali si deresponsabilizzano le azioni dei violenti e la donna viene interrogata sui suoi comportamenti, sulle proprie abitudini.
Lo scorso 8 marzo il governo – di estrema destra – ha approvato l’introduzione del reato di
femminicidio, con la conseguente pena dell’ergastolo. Sappiamo che le pene, di per sé,
non risolvono i problemi. Nel caso della violenza di genere, solo l’educazione al rispetto e
al consenso, tuttora assente (e osteggiata dal governo), può permettere di eradicare le
radici della violenza.
Sappiamo anche che se pure le pene esistono, ma la cultura patriarcale rimane invariata,
tale cultura continuerà a riflettersi nell’operato delle forza dell’ordine, dei servizi sociali, dei
media, dei tribunali. Per questo abbiamo organizzato due presidi, il 27 marzo e il 10 aprile, di fronte all’ingresso del Tribunale di Firenze per ribadire che: