Articolo di Marta Dillon, giornalista e attivista, lesbica fondatrice di H.I.J.O.S, associazione dei figli e figlie dei desaparecidos durante la dittatura militare e co-fondatrice del collettivo Ni Una Menos in Argentina, da cui è nato l’omonimo movimento globale femminista.
Marta attualmente si trova in Bolivia per fare informazione su quello che sta succedendo a La Paz e nel Paese in generale, in questo momento.
Dopo il colpo di stato il razzismo, con tutto il suo carico di violenza, è uscito allo scoperto
Bolivia soffre per le sue morti e le sue ferite
I massacri di Sacaba, in Cochabamba e di Senkata, alla periferia de La Paz, hanno lasciato ben chiara l’idea di chi ha il monopolio delle armi letali e su chi vengono puntate.
Da El Alto
Non importa se il sole di mezzogiorno richiede di togliersi il giubbotto necessario al mattino, loro ti ricevono lo stesso con il passamontagna di lana lasciando vedere soltanto gli occhi. Nelle stazioni della rete di teleferici, a El Prado, nelle piazze principali; sopra il cappuccio chiuso, il cappello con la visiera e nel pavimento, dove si inginocchIano quando qualcun* lo chiede, la cassetta per lucidare le scarpe.
“Perchè questo lavoro che esige la messa in scena della subordinazione richiede di tapparsi il viso?” “Perchè ci umiliano”, dice Isidro e si alza un po’ il tessuto per asciugarsi il sudore della bocca con il dorso della mano.
“Perchè ci umiliano”, tre parole che risuonano di fronte all’offerta ripetuta sulle vetrine dei saloni dei parrucchieri di El Alto: “Schiarimento della pelle”, scritto tra i servizi di manicure, pedicure, pettinature per i quinceanos, tinte, o tagli pubblicizzati con immagini di persone bionde, con gli occhi chiari. La domenica passata, durante le lunghe ore del blocco della via principale di Senkata, dove dieci persone sono state assassinate e molte di più sono state ferite dai proiettili dell’esercito e delle forze di sicurezza, un gruppo di donne conversava: “Se non abbiamo il pavimento, usciamo da casa piene di terra, il sole picchia, in questo modo saremo sempre nere”
L’umiliazione è un taglio che non si può cucire, il filo che lo produce si chiama razzismo. Non viene solo da fuori, è anche quello che si legge nello specchio. In questa geografia dove manca l’ossigeno e avanza il dolore e in qualsiasi altro territorio della nostra America colonizzata.
Però in Bolivia, proprio adesso, il razzismo, con tutto il suo carico di violenza, è nudo.
Chasquipampa è una località al sud di Città de La Paz, arrampicandosi verso le montagne dalla Ollada, là dove vivono i settori più ricchi della popolazione. E’ addirittura più facile respirare nella Ollada, l’altezza sopra il livello del mare si abbassa fino a 1000 metri in relazione ad altre zone della città. A Chasquipampa ci si arriva piano piano, perché la salita è ardua; fino al suo mercato ci arrivano i produttori di varie popolazioni, più vicine all’imponente Illimani, contadini e contadine che fino a dieci anni fa non avevano documenti né accesso all’ istruzione. Pascuala Condori Quispe viene da Quiliwaya, è madre di 9 figli e quello che vende durante il giorno diventa il cibo di tutt*. Con il suo grembiule che conta tre tasche si asciuga le lacrime mentre parla: “54 mila pesos ci stanno chiedendo! Da dove li tiriamo fuori 54 mila pesos?” (circa 7000 euro), suo nipote è ricoverato in terapia intensiva nell’ospedale di Tòrax e questo è quanto le stanno chiedendo dopo 10 giorni di ricovero. Altre vicine si riuniscono per narrare la giornata durante la quale spararono a Oscar Pacheco e ruppero le mani al papà di Arminda Chura Cocarico e lanciarono Gas dentro le case, nelle scuole, “hanno rotto i vetri e gassificato i bambini”, dice la proprietaria del chiosco dove le donne completano le loro testimonianze. Tutto ciò è successo nella settimana in cui Jeanine Anez si è autoproclamata presidenta e ha detto pubblicamente che lasciava “nelle mani di dio e delle forze di sicurezza la pacificazione della Bolivia”. “Sono venuti dei falsi poliziotti a prenderci a calci le porte, a dirci che dovevamo uscire perché venivano a saccheggiarci le case e senza pietà dopo ci hanno sparato. Da Achumani sono arrivati, ci odiano”, dice Pascuala. Achumani è nella Ollada. “E noi odiamo loro, tutti quelli che ha organizzato quel Camacho” aggiunge.