La verità per Martina Rossi non ci interessa, non ci interessa perché già la sapevamo. Sono ormai 10 anni che sappiamo tuttə fin troppo bene cosa possa essere successo a Martina nel suo tentativo di sottrarsi ad uno stupro.
Sono 10 anni che viviamo l’ipotesi del suicidio, portata avanti dalla difesa dei due aggressori, come l’ennesima violenza su ognunə di noi.
Si perché se ti stuprano e sopravvi sei una troia. Se provano a stuprarti e cerchi di proteggerti sei una suicida.
Anche della giustizia ce ne frega poco, perché non é alla giustizia dei tribunali che affidiamo le nostre vite. Non saranno quegli stessi organi che attuano su di noi ogni forma possibile di violenza istituzionale a trasformarsi magicamente in cavalier serventi pronti a sguainare la spada per noi. E di certo non stiamo qui a cercarci un cavaliere servente.
La giustizia che vorremmo è altra, vorremmo che il centro del dibattito non fosse sempre la donna che ha subito. Vorremmo che non ci si concentrasse su giochetti raccapriccianti atti solo ad alzare la polvere e invertire i ruoli fra chi stupra e chi invece è vittima di stupro.
Ma la realtà è che possiamo urlare a testa alta verità e giustizia per Martina Rossi perché i suoi genitori e, con loro, tutte le donne e le soggettività stanche della violenza patriarcale, hanno lottato per 10 anni affinché questa verità non sparisse nel polverone degli avvocati e nei labirinti dei tribunali.
Giustizia perché dopo questi lunghi, faticosi e dolorosi 10 anni di lotta possiamo sorridere e dire che LO STUPRO NON SI ASSOLVE non è solo uno slogan.