In tempi di Covid-19 è necessario l’aborto telemedico. L’ospedalizzazione è un pericolo per la salute pubblica

Elena Caruso e Marina Toschi *

Tutte le Istituzioni sono impegnate a vari livelli e secondo le proprie competenze per limitare il contagio nella popolazione tramite l’isolamento sociale. Tuttavia in questo sforzo qualcosa potrebbe ancora farsi. L’evolversi dell’ epidemia COVID-19 in Italia, dal suo focolaio nel Lodigiano, ha chiarito come gli ospedali sono i luoghi più a rischio contagio in questo momento. Il Governo dovrebbe quindi fermare le ospedalizzazioni non necessarie in questo momento di emergenza, così da proteggere la salute di cittadini e operatori sanitari dalle possibilità di contagio e soprattutto per massimizzare le scarse risorse presenti nella sanità pubblica di fronte all’epidemia COVID-19.

Questo tuttavia non sembra ancora accadere in materia di interruzione volontaria di gravidanz farmacologica: un intervento che continua a essere ospedalizzato anche in piena emergenza sanitaria. È il momento di introdurre l’aborto telemedico in Italia, un’espressione che si riferisce all’aborto farmacologico eseguito in modalità di telemedicina. Spieghiamo meglio di cosa si tratta.

Telemedicina significa assistenza medica in forma telematica. Essa permette al medico di offrire cure mediche al paziente in modalità online, a distanza, grazie all’uso delle moderne tecnologie. L’aborto farmacologico indica, invece, una delle due modalità con cui l’ interruzione volontaria di gravidanza può essere praticata. L’altra opzione è quella dell’aborto chirurgico (di solito per aspirazione). L’aborto farmacologico avviene tramite l’assunzione di due farmaci, il mifepristone (RU486) e il misoprostolo. In Italia questa possibilità è stata introdotta solo nel 2009 (a fronte del 1988 in Francia e 1990 in Regno Unito).

L’aborto farmacologico è una pratica sicura (‘safe’) per l’ Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS), la quale ha incluso entrambi i farmaci abortivi nella lista delle medicine essenziali stilata dalla medesima organizzazione. Nonostante la sicurezza dell’aborto farmacologico sia attestata dalla più autorevole letteratura scientifica internazionale, la possibilità di abortire tramite ‘pillola’ in Italia è fortemente ostacolata da misure che risultano incomprensibili alla luce della best practice internazionale.

L’aborto farmacologico è infatti accessibile in Italia solo nelle prime 7 settimane (a fronte della sicurezza attestata per le prime 9 settimane dalla stessa OMS) e in regime di ricovero ospedaliero ordinario (di tre giorni). Alcune Regioni, discostandosi dalle linee di indirizzo ministeriali, hanno introdotto il regime di ricovero in day-hospital per somministrare la RU486 e il misoprostolo. Queste barriere di accesso all’aborto farmacologico vengono giustificate dietro la generica clausola della tutela della salute della donna. Questo dichiarato interesse è però non protetto nei fatti come emerge dagli stessi dati del Ministero della Salute, i quali ci confermano che in Italia viene ancora praticato il raschiamento (addirittura nel 40,6 per cento dei casi in Sardegna), nonostante questa non sia una tecnica abortiva sicura per la stessa OMS. Invece, la pratica sicura dell’aborto farmacologico è adottata solo nel 17,8 per cento dei casi.

L’epidemia del COVID-19 ci offre un nuovo argomento per dubitare che l’ospedalizzazione dell’aborto nel nostro paese risponda all’interesse della salute della donna. Quest’ultima si trova oggi inutilmente esposta al rischio del contagio in ospedale, uno scenario che può essere evitato grazie all’aborto telemedico nelle prime nove settimane. La sicurezza dell’aborto telemedico nelle prime nove settimane è ormai attestata da ampia letteratura scientifica internazionale. Introdurre l’aborto telemedico nelle prime nove settimane in questo momento è un modo efficace di occuparsi della salute dei cittadini e degli operatori sanitari, e soprattutto di massimizzare le risorse scarse della sanità pubblica in un momento di emergenza come quello odierno. Abbiamo osservato come l’epidemia in corso abbia fornito la base giuridica per adottare inedite limitazioni alle nostre libertà personali. Sulla medesima base possono essere disposte misure straordinarie per la somministrazione dei farmaci abortivi. Non sarebbe la prima volta.

Nel 1976, due anni prima la legalizzazione dell’aborto con la legge 194/1978, sotto il Governo Andreotti fu autorizzato l’aborto terapeutico per le donne incinte nelle donne nelle zone colpite dal disastro di Seveso. Ancora, proprio per fronteggiare l’emergenza Covid-19, il Regno Unito ha annunziato il 23 marzo le misure straordinarie per introdurre l’aborto telemedico in casa, con forte deroga alla modalità ordinaria (salvo poi fare marcia indietro senza fornire spiegazioni). Privilegiare la procedura farmacologica, deospedalizzandola , è oggi la misura più idonea da adottare in considerazione di tutti gli interessi in gioco. È tempo dell’aborto telemedico.

Fonti: OMS, Safe abortion: technical and policy guidance for health systems, Ginevra, 2012 (prima edizione 2003). OMS, Model Lists of Essential Medicines, Ginevra, 2017 (20a edizione). MINISTERO DELLA SALUTE, Linee di indirizzo sull’interruzione volontaria di gravidanza tramite mifepristone e prostaglandine, approvate 24 giugno 2010, disponibili online al seguente indirizzo www.salute.gov.it. MINISTERO DELLA SALUTE, Relazione sull’ attuazione Legge 194/78 tutela sociale maternità e interruzione volontaria di gravidanza – dati definitivi 2017, 18 gennaio 2019,disponibile sul sito istituzionale del Ministero: www.salute.gov.it

* Elena Caruso (dottoranda alla Kent Law School, Regno Unito)
e Marina Toschi (ginecologa, direttivo dell’European Society of Contraception and Reproductive Health)
sono entrambe membri di PRO-CHOICE rete italiana contraccezione aborto

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