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Il 26 febbraio, in moltissime città, NON UNA DI MENO lancia il countdown verso lo sciopero femminista e transfemminista dell’8 marzo.
Durante il 2020 a perdere il lavoro sono state 444mila persone, di cui il 70% sono donne. Solo nel mese di dicembre, su 101mila persone i cui contratti non sono stati rinnovati o che sono state costrette a licenziarsi, 99mila sono donne, a causa di lavori precari e salari più bassi, e quindi più sacrificabili nell’economia familiare.
La fine del blocco dei licenziamenti, previsto a fine Marzo, fa prospettare una situazione destinata a peggiorare. Tuttavia, di fronte a una perdita di autonomia economica, le donne non hanno smesso di lavorare, perchè sono coloro che si occupano – gratuitamente o in cambio di bassi salari – della cura di anzian* e bambin* e il cui carico di lavoro è aumentato per la Dad.
La centralità assunta dalla riproduzione ha gettato luce sulle condizioni di lavoro nei cosiddetti lavori essenziali, svolti prevalentemente da donne, in gran parte migranti, sottoposte a un’intensificazione di orari di lavoro e turni impossibili.
Il Covid-19 ha reso ancora più evidenti le linee della violenza strutturali. Dall’inizio dell’anno sono tredici le donne uccise, ma i finanziamenti ai centri antiviolenza femministi, fondamentali nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza, sono del tutti inadeguati. Mentre il Piano Antiviolenza sta per scadere, la discussione governativa invoca la parità di genere nella gestione del Recovery Plan attraverso l’attuazione di politiche neoliberali e un Family Act che oltre a escludere le persone migranti non tiene conto della divisione sessuale del lavoro.
Le limitazioni e i rischi non hanno impedito la moltiplicazione delle lotte, nei magazzini, nelle scuole, nei multiservizi, e il protagonismo delle donne e delle libere soggettività. La voce di 600 donne e soggettività LGBTIQ+ Precarie, migranti, operaie, maestre, madri, delegate sindacali e sex worker è risuonata forte nella tre giorni di assemblea nazionale online, affermando che lo sciopero non è più rimandabile. Per queste ragioni, Non Una Di Meno chiama uno sciopero femminista e transfemminista: della produzione e della riproduzione, del consumo, sciopero dai ruoli imposti dai generi. Abbiamo chiesto a tutti i sindacati di riconoscere l’urgenza del nostro sciopero e di garantire la copertura sindacale alle lavoratrici e ai lavoratori che vorranno astenersi dal lavoro produttivo. Alcuni hanno già risposto all’appello convocando per l’8M lo sciopero generale. Le donne lottano da mesi nelle fabbriche, nelle scuole, nelle case, lottano in Italia, in Polonia, in Argentina, in Bulgaria, in Georgia e in Cile, e nelle città degli Stati Uniti e in Francia dimostrando, ancora una volta, la necessità di una risposta transnazionale alla violenza strutturale.
Le politiche economiche europee di gestione della crisi ci hanno definite “essenziali” per intensificare il nostro sfruttamento. Noi l’8 marzo dimostreremo che essenziale è la nostra lotta, essenziale è il nostro sciopero.
Crediamo che denunciare la narrazione tossica dello stupro e l’utilizzo di tale atto come mezzo propagandistico per la propria attività sia doveroso e necessario»
Oggi davanti al bar #pancaffè di Prato
A PRATO “A ME CI PENSANO LE MIE AMICHE! Basta silenzio! Lo stupro non si assolve!” In tante e tanti siamo stati davanti al Pancaffe di Marco Camuffo per denunciare che uno stupro è uno stupro e non un inciampo di percorso! e poi nella piazza del Duomo prima di rientrare
Cara Lidia, questa maledetta pandemia ha preso anche te. Ti ha presa dopo una vita vissuta “dalla parte del torto”, in tutti i conflitti di questi anni belli e difficili.
Non ti sarebbe piaciuta la retorica militarista che ha applicato alla pandemia , e a te, la categoria della battaglia, della guerra, combattuta, vinta o persa. Ti sarebbe piaciuta invece la parola “resistenza”. Alla malattia hai opposto resistenza. A quella contro il nazifascismo avevi partecipato attivamente, fino a quella repubblica dell’Ossola che fu, anche se di breve durata, uno dei momenti più alti, perché in quei 40 giorni furono elaborati quei principi che poi sarebbero stati alla base della Costituzione.
Ti piaceva anche la parola “conflitto”. Il conflitto lo avevi vissuto nelle varie forme in cui si è presentato. Conflitto di classe, conflitto fra i sessi. Conflitti che ritenevi necessario gestire non con la prospettiva di eliminare l’avversario, ma nemmeno di cercare una conciliazione con la retorica della “buona volontà”. I conflitti si affrontano e si superano trovando collettivamente la forza per sconfiggere la sopraffazione, lo sfruttamento.
Tu non hai perso una guerra e nemmeno una battaglia. La tua morte non segna la fine di qualcosa. Quello che rimane non è soltanto un ricordo. Se è vero che ci mancherai, è ancora più vero che vivrai nel ricordo di tante donne, da quelle che ti hanno conosciuto a quelle che ti hanno solo sentita citare. Il tuo essere femminista non era una definizione formale. Era la parola che indicava una scelta di campo, un posizionamento, che poteva tenere insieme tutte le donne che guardano il mondo e affrontano i conflitti con uno sguardo di genere.
Addio Lidia. Che la terra ti sia lieve
Una compagna