L’otto marzo abbiamo scioperato dal lavoro produttivo e riproduttivo

Abbiamo scioperato nei pressi della sede di  Confindustria, l’associazione simbolo del lavoro d’impresa.  Durante la pandemia non sono mancate le dichiarazioni di esponenti di confindustria che rimarcavano: al primo posto le imprese, a ogni costo, anche al costo della salute di lavoratori e lavoratrici. L’importante è sempre stato che la macchina produttiva continuasse ad andare, anche quando le persone si ammalavano, finivano in ospedale, morivano. 

A fare le spese della retorica sul lavoro in pandemia sono come sempre e soprattutto le donne. Del totale delle persone che hanno perso il lavoro in pandemia oltre il 70% sono donne, sia native che ancora di più migranti, con e senza documenti. Siamo noi a aver rinunciato al lavoro per stare dietro ai figli, lasciati a casa dalla dad, noi ad aver dovuto lavorare il triplo per tenere insieme lavoro e famiglia, noi ad aver colmato i buchi di welfare e servizi. Il motivo per cui sono sopratutto le donne ad aver perso il lavoro è data spesso dalla natura del lavoro stesso. Impiegate nei servizi, con forme di lavoro part time, precarie, e quindi più esposte alle oscillazioni del mercato del lavoro. Essendo raramente nei posti di lavoro apicali, siamo anche quelle meno tutelate e “sicure” rispetto alla perdita del lavoro. Altrettanto penalizzate sono state le nuove assunzioni, sempre meno rispetto agli uomini. La forbice del gap salariale fra donne e uomini, cioè la disparità di salario, non ha fatto che allargarsi. di coloro che hanno perso il lavoro, le donne sono state anche coloro che hanno fatto più fatica a rientrare. 

Non è la pandemia responsabile della diseguaglianza sociale. La pandemia ha solo fatto esplodere diseguaglianze strutturali che storicamente relegano le donne a certi tipi di lavoro, o all’inattività produttiva, o alla sola cura dei propri familiari. Ci rifiutiamo di continuare a reggere un sistema basato sullo sfruttamento dei nostri corpi, che si regge sul nostro lavoro gratuito e sulla nostra disponibilità a sanare le lacune di un sistema di governo, di servizi, di welfare. Ci vogliamo sottrarre alla logica che ci vuole più povere, più malpagate, più sole, più relegate alla cura della casa e della famiglia, più silenziose di fronte ai soprusi. 

Secondo l’ultimo rapporto istat del 2018, sono 1 milione e 400 mila le donne costrette a subire molestie, soprusi e violenze sul posto di lavoro. Colleghi, superiori o altre persone che ci toccano, molestano, baciano, fino ad arrivare al tentativo di utilizzare il nostro corpo come merce, con la richiesta di prestazioni, rapporti o disponibilità sessuali in cambio di assunzioni, crescite professionali, accessi all’occupazione. Perchè spesso per la paura di perdere il lavoro dobbiamo accettare la mano sul culo del nostro capo, le battute sessiste dei colleghi, favori sessuali che ci garantiscano, anche questo mese, di poter sopravvivere. 

Anche da tutto questo oggi scioperiamo! Ci rifiutiamo di essere merce di scambio, di essere pagate meno e di lavorare peggio, di sobbarcarci il lavoro fuori e dentro casa, perchè è scontato che siamo noi a farlo. Ci siamo sentite sole per troppo tempo a tenere insieme i pezzi della nostra vita di fronte a un mondo che sistematicamente ci ha reso impossibile anche solo vivere dignitosamente. Il nostro è uno sciopero dalla solitudine, perchè non una di più accetti condizioni misere, non una di più sia molestata, non una di più sia relegata solo a certi lavori e posizioni e mai ad altre! 

Facciamo partire il nostro grido muto, ci sediamo per terra per un minuto per rappresentare il silenzio e la solitudine a cui siamo state confinate, e al termine liberiamo il nostro grido di rabbia e liberazione!

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