Qui sotto potete trovare tutte le informazioni su aborto farmacologico e chirurgico a Firenze. Se avete bisogno di un supporto o di accompagnamento, scriveteci su nonunadimenofirenze@gmail.com o chiamate o scrivete via whatsapp al numero 329 2386360
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Il 3 e l’8 marzo saremo nuovamente in piazza per scioperare contro la violenza che devasta corpi e territori.
Da alcuni anni i movimenti ecologisti e transfemministi hanno adottato lo sciopero come pratica di lotta, ma quest’anno vogliamo unire i due scioperi in una settimana di mobilitazione ecotransfemminista. Siamo ormai consapevoli del fatto che la violenza contro cui lottiamo è la stessa e ha la stessa origine in un sistema capitalista, antropocentrico e patriarcale che lega in maniera indissolubile lo sfruttamento delle risorse naturali allo sfruttamento dei corpi.
Il 3 e l’8 marzo scioperiamo e ci uniamo in una settimana di mobilitazione tra queste due date perché la nostra lotta è la stessa: non ci può essere giustizia climatica senza giustizia sociale e viceversa!
Non siamo tuttə nella stessa barca. Scioperiamo perché la crisi climatica non colpisce tuttə allo stesso modo, ma amplifica le diseguaglianze già presenti nella società aggravando le condizioni delle categorie marginalizzate e svantaggiate. La pandemia da Covid-19, le cui cause sono profondamente legate alla crisi climatica, ne è stata un’ulteriore conferma: sono state le donne, le persone socializzate come tali e le soggettività LGBTQIA+ a pagare il prezzo più alto della crisi sanitaria.
Scioperiamo perché non vogliamo più mettere il nostro tempo al servizio del lavoro produttivo e riproduttivo, nell’ottica del profitto di pochi sulle spalle di molte. La sopravvivenza di questo sistema economico predatore esige lo sfruttamento di tutte le risorse naturali disponibili e pretende l’obbligo di produrre altre vite, sempre messe a disposizione del lavoro. La transizione ecologica va basata su questi fatti, e non usata da poche compagnie per fare enormi profitti.
Scioperiamo perché la crisi climatica è già qui e i suoi effetti materiali sulle nostre vite sono ormai evidentissimi: siccità, inquinamento, crisi energetica e inflazione non sono processi inevitabili, ma il frutto di precise scelte politiche ed economiche.
Scioperiamo perché non vogliamo essere sempre noi a pagare il prezzo più alto. Vogliamo città dove l’accesso ai servizi sia garantito a tuttə, in cui il trasporto pubblico sia diffuso e gratuito; città in cui non ci si ammala per l’aria che respiriamo e in cui non si muore per le temperature eccessive; dove essere liberə di muoverci e di vivere una vita libera e felice. Questa realtà non si costruisce da sola nè ci verrà regalata da chi al potere non ha intenzione di cambiare. Questo lo costruiamo noi, insieme, ogni giorno, e vi invitiamo a esserci anche in questi due giorni.
Il 3 marzo invitiamo tutte le persone che potranno essere in piazza a partecipare alle manifestazioni locali organizzate in occasione dello sciopero per il clima.
Per l’8 Marzo Non Una di Meno ha chiesto anche quest’anno a tutte le organizzazioni sindacali di convocare lo sciopero generale di 24 ore, che sarà garantito per tutti i settori del pubblico impiego e del privato: su questo blog nei prossimi giorni si potranno man mano trovare tutte le proclamazioni inviate alla Commissione di Garanzia per lo sciopero.
Nella settimana dal 3 all’8 marzo invitiamo inoltre tutte le persone che sentono il bisogno di mettere in discussione e in crisi il sistema di produzione attuale, ad agire con i propri mezzi e secondo le proprie possibilità uno sciopero dei e dai consumi, rivolto in particolare alle catene dei fast food e della fast fashion, rappresentative di quelle multinazionali che continuano a fare extra profitti a scapito di qualunque forma di giustizia sociale ed ambientale.
Come abbiamo sostenuto lə studenti del liceo Michelangiolo aggreditə dalla squardaccia fascista, scendendo in piazza con loro a Firenze, così ora esprimiamo la nostra solidarietà alla dirigente scolastica attaccata
dal ministro Valditara per la sua presa di posizione antifascista contro quell’aggressione.
Valditara ha affermato che questa politicizzazione della scuola per lui è completamente fuori luogo. Eppure proprio lui ha dimostrato che scuola e istruzione sono un campo di scontro politico: ha chiamato in causa il merito per sostenere una scuola che produce gerarchie e tratta la povertà come una colpa personale, ha invocato la disciplina e l’umiliazione per soffocare ogni pretesa di libertà di chi con la scuola dovrà formarsi.
La matrice che ha generato l’attacco infame e fascista fuori dal Michelangiolo è la stessa che permette a ministri come Valditara di attaccare e distruggere la scuola dall’alto delle sue cariche, e che li autorizza a soffocare il dissenso invocando ordine e disciplina. Noi non possiamo accettarlo. Come femministe, transfemministe, antifasciste sappiamo che l’istruzione è da sempre un terreno di lotta per l’emancipazione, abbiamo rivendicato un’educazione alle differenze perché dalla scuola cominci la trasformazione antipatriarcale e antirazzista che vogliamo conquistare. E come femministe e transfemministe vediamo che l’attacco che in queste ore è stato sferrato contro la scuola pubblica riguarda anche chi ci lavora in condizioni di precarietà che ora diventano sempre più minacce politiche verso chiunque faccia dell’insegnamento un’occasione di liberazione.
Gli attacchi turchi al Rojava non si fermano dal 20 novembre scorso. Oltre a colpire villaggi e civili, gli attacchi della Turchia sono mirati a distruggere infrastrutture come ospedali, centrali elettriche e riserve di grano, isolando le popolazione. É attestato l’uso di armi chimiche de parte dello stato turco, armi vietate dalle convenzioni internazionali, nonostante il dittatore Erdogan abbia fatto qualsiasi cosa per impedire le operazioni di investigazione de parte dell’OPCW, l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche, istituendo false commissioni di inchiesta e mettendo in prigione le voci di denuncia interne. Inoltre, continua le detenzione del leader Abdullah Öcalan sull’isola carcere di Imrali, dove si trova dal 1999 in un regime di massimo isolamento. Alcune settimane fa il Comitato di prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa (CPT) aveva fissato una visita con lui per vigilare sulle sue condizioni, ma l’incontro non è avvenuto e non se ne conosce il motivo.
In questo scenario drammatico, il governo turco sceglie di continuare ad amministrare uno stato ormai cronicamente sull’orlo del default finanziario proseguendo ciecamente le sue criminali aggressioni militari su vasta scala ai danni delle popolazioni curde e del loro progetto rivoluzionario, facendo affidamento su solidi rapporti commerciali in cui l’Italia ha un ruolo chiave. L’Italia è infatti le prima importatrice in Turchia di filati e tessuti a maglia.
Tra i maggiori marchi italiani che operano in Turchia ci sono Benetton e Calzedonia. Benetton, nello specifico, he investito circa 14 milioni di dollari per il 50% della società Bofìs, interamente controllata de Boyner, che gestisce tutte le attività commerciali dei marchi United Colors of Benetton, Sisley, Playlife e Killer Loop nell’area turca. Sono presenti circa 50 negozi. Calzedonia, invece, he orca 20 negozi su suolo turco. Tra gennaio e ottobre 2021, l’Italia ha importato dalla Turchia prodotti tessili e di moda per un valore di circa 295 milioni di dollari di cui 31,9 milioni di dollari nel solo settore delle calzature. L’Italia è quindi direttamente responsabile e complice del foraggiamento della guerra di Erdogan, i grandi colossi della moda, allo stesso modo, lucrano e aumentano il loro volume di affari con un governo palesemente fascista. Una delle linee del fronte di questa guerra è quindi anche a casa nostra: sotto i nostri portici rassicuranti, sotto i riflettori delle vetrine addobbate per gli acquisti natalizi. E’ nostra responsabilità agire immediatamente e smascherare questa ipocrisia in difesa del popolo curdo e di una vita libera insieme in tutto il mondo,
#DefendKurdistan #RiseUp4Rojava #WomenDefendRojava #noflyzone4rojavanow
Oggi a Roma, per il settimo anno consecutivo, siamo felici di essere tornate a camminare con tutte le nostre sorelle e compagne.
Di fronte alla guerra, alle bombe, al governo neofascista, al numero drammatico di femminicidi e transicidi, ai respingimenti delle persone migranti, alle condizioni di lavoro e di vita sempre più spaventose, ci siamo sentite spesso smarrite e senza parole.
Viviamo un mondo che ci costringe all’individualismo, all’isolamento: ognuna per sé, con i suoi problemi, le sue paure, le sue preoccupazioni, mentre tutto si sgretola intorno.
Abbiamo sentito ancora più forte il peso dell’isolamento e della paura in questi mesi, quando l’asticella dello scontro sui nostri corpi e tutto intorno si è alzata spaventosamente.
Più la situazione peggiorava e più ci siamo sentite paralizzate e sole. Per questo in piazza oggi portiamo il bisogno smisurato di ritrovarci tutte insieme, spalla contro spalla, ad essere marea.
Perché la solitudine ci toglie le parole, e perché nella solitudine prolifera la violenza di genere, a tutti i suoi livelli.
Nelle guerre, nelle torsioni reazionarie dei governi, nella riduzione degli spazi di movimento la violenza maschile contro le donne e la violenza di genere esplode, proprio perché è strutturale.
Abbiamo bisogno di ritrovare le parole, di ritrovare le sorelle, di costruire una risposta all’altezza dell’attacco in corso.
Una risposta collettiva, una risposta oceanica, una risposta femminista!
Non vogliamo farci ingannare. Quando ci sembra che qualcosa di assolutamente nuovo stia succedendo, non ci crediamo.
Certo, a tratti peggiorano, ma il patriarcato e il sessismo sono l’asse portante della democrazia, e nessuno si è salvato.
Sappiamo che siamo noi, donne, lesbiche, persone trans e non binarie a pagare il prezzo più caro del neoliberismo, a reggere col lavoro non pagato, a vivere le conseguenze della violenza che organizza il mondo, e anche i governi
Non ci stupisce Giorgia Meloni quindi, non ci stupisce la ministra Roccella, non ci stupisce la modifica della legge 194 e la richiesta di riconoscimento di capacità giuridica dell’embrione, non ci stupiscono le navi delle ONG a cui viene vietato l’attracco.
Non ci stupiscono, ma ci riempiono di una rabbia feroce, per cui gridiamo ancora più forte: i governi neofascisti sono figli del patriarcato.
Le politiche pubbliche sessiste sono figlie del patriarcato.
Il sovranismo, la chiusura dei confini nazionali, dio patria e famiglia, sono figli del patriarcato.
E noi siamo sempre dalla stessa parte: quella anticapitalista, quella antifascista, quella femminista!
Ancora una volta, la nostra risposta contro la violenza è una risposta di rabbia, di solidarietà, di sorellanza, di amore
Continuiamo a sentire la rabbia perchè non possiamo godere del privilegio di non farlo: nelle relazioni, sui posti di lavoro, nei governi, nelle istituzioni, negli ospedali, nelle scuole, nella città, nelle guerre, vige ancora la cultura dell’abuso e dello stupro, e ne viviamo tutte le conseguenze.
La rabbia però ci spinge a cercare le sorelle: solo con le altre possiamo costruire strumenti, non sentirci sole, uscire dalla spirale della violenza, non cedere ai ricatti, affermare le nostre scelte, decidere la strada per l’autodeterminazione.
Le sorelle non sono solo le nostre compagne.
Sono tutte coloro che incrociamo, con cui stringiamo rapporti, costruiamo progetti, inventiamo soluzioni collettive a problemi individuali, che non sono mai solo individuali.
Per questo abbiamo bisogno di moltiplicare la solidarietà. Moltiplicare i laboratori, gli sportelli di aiuto, i centri anti violenza, le case rifugio, gli spazi femministi, le consultorie.A Firenze lo abbiamo fatto con Greta, lo sportello di accompagnamento all’aborto, e cerchiamo di farlo ogni volta che qualcuna ci dice: ho paura, ho bisogno, ho desiderio, ci siete?
E noi ci siamo e ci vogliamo essere.
Perché la rivoluzione è lenta e non lascia indietro nessuna. E la nostra rivoluzione è rabbiosa, collettiva, e femminista!
Non una di meno!
A gridare per le strade di Roma oggi siamo in tante, ma non siamo tutte.
Dove cado io, ci sei tu, scriveva Marti.
Per ogni persona di noi che è caduta, per ognuna che non c’è, vogliamo esserci noi, tutte insieme, ancora più forte.
Conosciamo la violenza, conosciamo il dolore, e nostro malgrado, abbiamo dovuto conoscere anche la morte delle nostre compagne e sorelle.
La morte nelle nostre relazioni femministe ci taglia via un pezzo.Quando riguarda una, riguarda tutte, e così anche la malattia e la morte non riguardano una, ma riguardano tutte.
Il dolore della perdita ci ha spesso ammutolite.
Anche quello, ci ha fatto sentire smarrite. Eppure quel dolore vogliamo trasformarlo in rabbia, in desiderio, e nell’amore che ci unisce, mentre camminiamo insieme.
Alla nostra luna che muove le maree, a Marti, a Fiore e a ogni compagn che manca, a tutte quelle che non sono sopravvissute alla violenza maschile e di genere, vogliamo gridare: siamo il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce!
Ciao Pat!
Il 28 settembre siamo tornate nelle piazze di tutta Italia per la giornata internazionale per l’aborto libero, sicuro e gratuito perché in questo scenario politico, tra guerre, crisi economica,climatica e campagna elettorale, i nostri corpi continuano ad essere un campo di battaglia.
La libertà di abortire significa per noi poter scegliere sui nostri corpi e sulle nostre vite, e per questo vogliamo lottare contro tutte le condizioni che ce lo impediscono.
Gli attacchi e le restrizioni all’aborto sono attacchi diretti a donne, persone con capacità gestante, persone migranti e senza reddito. Lo sappiamo che la violenza è più brutale sui corpi di chi vive in una regione in cui il tasso di obiezione è altissimo e non ha un reddito per spostarsi, sui corpi di chi ha un’identità di genere non conforme e sui corpi di scappa dalla guerra.
Siamo furios3 perché in tutto il mondo non è possibile abortire in sicurezza e ciò significa la morte per milioni di persone (22 milioni all’anno).
In Italia la legge 194, che disciplina l’accesso all’aborto, permette l’obiezione di coscienza del personale medico, che nel nostro paese arriva quasi al 70%. I consultori pubblici sono stati progressivamente ridotti, dagli anni 70 ad oggi: sono adesso molto meno di un consultorio ogni 20.000 abitanti. Non si investe sull’educazione sessuale e all’affettività e sulla contraccezione gratuita. Quando decidiamo di abortire,siamo stigmatizzat3 e colpevolizzat3 e il percorso per acccedere all’IVG diventa più difficile. Rivendichiamo con forza che non ci pentiamo di aver abortito e che continueremo a farlo.
Siamo furios3 perché la nostra libertà di scelta è messa ancora più sotto attacco da venti reazionari che soffiano da Stati Uniti, Ungheria, Polonia, Malta. Anche in Italia assistiamo a un rilancio della triade “Dio, patria e famiglia”, declinata nelle forme più sessiste, razziste, omolesbobitransfobiche e abiliste, che impone rigidi ruoli di genere e assegna alle donne il compito della riproduzione e della crescita della nazione bianca, patriarcale e eterossessuale.
Siamo furios3 perché l’attacco all’aborto si rafforza in un momento di crisi economica e sociale, estremizzata dalle conseguenze di una guerra che riduce i salari con l’inflazione, alimenta la crisi energetica, ci impoverisce e ci rende più ricattabili. Scendiamo in piazza perché a questa crisi corrisponde un aumento incessante dei femminicidi, degli stupri, della violenza maschile contro le donne e della violenza omolesbobitransfobica, della violenza razzista.
Saremo in piazza tre giorni dopo le elezioni perché non vogliamo un patriarcato conservatore, e non ci accontentiamo di un patriarcato democratico.
La destra conservatrice strumentalizza la violenza sulle donne per portare avanti politiche razziste e vuole rafforzare il controllo sui nostri corpi e sulla nostra sessualità. Ci impone la maternità e il lavoro di cura in cambio di briciole, mentre ci spinge a lavorare sottopagate, promettendo sgravi fiscali a Confindustria . I democratici promettono diritti e libertà civili in cambio di politiche che continuano a peggiorare le nostre condizioni di vita.
Vogliamo essere libere di scegliere, e perciò rifiutiamo queste finte alternative. Vogliamo lottare per mettere fine alla violenza patriarcale, razzista, coloniale, omolesbobitransfobica, abilista e classista che trova nella guerra e nelle sue conseguenze la massima espressione.
Noi ci vogliamo viv3 e liber3.
Ci vogliamo viv3 e liber3, per questo non possiamo accettare la mancanza di uno stato di welfare
Ci vogliamo viv3 e liber3, per questo vogliamo un reddito di autodeterminazione
Ci vogliamo viv3 e liber3, per questo non possiamo accettare la guerra e le sue conseguenze
Ci vogliamo viv3 e liber3, per questo vogliamo un permesso di soggiorno senza condizioni
Ci vogliamo viv3 e liber3, per questo vogliamo più finanziamenti ai consultori, ai centri antiviolenza, all’educazione sessuale nelle scuole e alla contraccezione gratuita
Ci vogliamo viv3 e liber3, per questo vogliamo un aborto libero, sicuro e gratuito
Ci vogliamo viv3 e liber3, per questo vogliamo molto di più della 194.
Vogliamo la libertà di decidere sul nostro corpo, vogliamo che l’attenzione alla vita sia attenzione all’autodeterminazione per tutte le persone.
Sosteniamo il personale medico e infermieristico che con tenacia cerca di arginare le difficoltà causate dall’elevato tasso di obiezione. Sosteniamo tutte le persone e le organizzazioni che forniscono informazioni, accesso alle pillole abortive e servizi di assistenza all’aborto. Ci riuniamo in sorellanza da ogni angolo del mondo per imparare, sostenerci a vicenda e lavorare insieme per rivendicare il diritto all’aborto sicuro.
Per tutto questo è necessario scendere in piazza, perchè siamo furios3, non ne possiamo più e vogliamo rilanciare un percorso che va verso e oltre il 28 settembre, per costruire insieme una lotta che sia davvero di tutt3 e fare risalire insieme la marea.
AMORE E RABBIA
Non una di meno