PREPARIAMO INSIEME L’OTTO MARZO

Nel mese di febbraio dedicheremo le assemblee aperte del mercoledì sera alla preparazione dell’8 marzo.
Invitiamo a partecipare tutte le persone e le  realtà che vogliano costruire questa giornata con noi.
Vi aspettiamo in via Fiesolana 2b presso la biblioteca femminista dalle ore 20

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MARIA GALINDO: FEMMINISMO BASTARDO

Insieme a Il giardino dei ciliegi e Azione gay e lesbica, presentiamo il libro “Femminismo bastardo” con l’autrice Maria Galindo. Sarà anche allestita la mostra “Popwok” sull’esperienza di mensa popolare con le sexworkers, in collaborazione con l’Unità di Strada Vivian Love.

Attraverso una scrittura “bastarda”, che unisce prosa e poesia, manifesto politico e articolo di giornale, María Galindo passa in rassegna le questioni fondamentali del femminismo dalla sua prospettiva anarchica e decoloniale. Secondo l’autrice le donne sudamericane hanno il dovere di riconoscersi come bastarde e di rifiutare il progetto dello stato coloniale del meticciato (mestizaje) che classifica, gerarchizza e tenta di nascondere la “ferita coloniale” che ancora sanguina. Galindo costruisce un archivio delle pratiche di disciplinamento del desiderio erotico disseminate nella cultura ecclesiastica, nelle istituzioni mediche e scolastiche, nel linguaggio politico e nella cultura popolare, sia quella folklorico-indigenista sia quella imperialista-spagnola-gringa. Con Mujeres Creando, il movimento femminista di guerriglia urbana non violenta da lei fondato, sviluppa un diagramma di pratiche di ribellione alla violenza che lei stessa chiama “depatriarcalizzazione”. In quest’ottica, il femminismo bastardo è un modo per posizionarsi – come fanno le riflessioni decoloniali – fuori da qualsiasi binarismo, sia quello di genere, quello tra Stato e popolazione indigena o quello tra vittima e carnefice.

Tra le fondatrici del collettivo Mujeres Creando (MC), uno dei più importanti dell’America latina, María Galindo insieme a MC gestisce Radio Deseo e uno spazio sociale e culturale nel centro della capitale boliviana, La Paz, dove è nata. Una volta, raccontando le sue molte e diverse esperienze vissute in tanti paesi (tra cui l’Italia), si è definita una “cuoca agitatrice di strada, graffitara, radialista, scrittrice, lesbica pubblica, pazza, regista, pettegola dalla bocca larga, maleducata, bastarda, insolente, aggressiva, anarcofemminista”.

Sabato 15 febbraio, alle ore 18:30 al Giardini dei ciliegi a Firenze. Il talk sarà seguito da un aperitivo musicale.

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SE DOMANI NON TORNO

8 marzo 2024 Firenze

SE DOMANI NON TORNO

Se domani non rispondo alle tue chiamate, mamma.
Se non ti dico che non torno a cena. Se domani, il taxi non appare.
Forse sono avvolta nelle lenzuola di un hotel, su una strada o in un sacco nero (Mara, Micaela, Majo, Mariana).
Forse sono in una valigia o mi sono persa sulla spiaggia (Emily, Shirley).
Non aver paura, mamma, se vedi che sono stata pugnalata (Luz Marina).
Non gridare quando vedi che mi hanno trascinata per i capelli (Arlette).
Cara mamma, non piangere se scopri che mi hanno impalata (Lucía).
Ti diranno che sono stata io, che non ho urlato abbastanza, che era il modo in cui ero vestita, l’alcool nel sangue.
Ti diranno che era giusto, che ero da sola.
Che il mio ex psicopatico aveva delle ragioni, che ero infedele, che ero una puttana.
Ti diranno che ho vissuto, mamma, che ho osato volare molto in alto in un mondo senza aria.
Te lo giuro, mamma, sono morta combattendo.
Te lo giuro, mia cara mamma, ho urlato tanto forte quanto ho volato in alto.
Ti ricorderai di me, mamma, saprai che sono stata io a rovinarlo quando avrai di fronte tutte le donne che urleranno il mio nome.
Perché lo so, mamma, tu non ti fermerai.
Ma, per carità, non legare mia sorella.
Non rinchiudere le mie cugine, non limitare le tue nipoti.
Non è colpa tua, mamma, non è stata nemmeno mia.
Sono loro, saranno sempre loro.
Lotta per le vostre ali, quelle ali che mi hanno tagliato.
Lotta per loro, perché possano essere libere di volare più in alto di me.
Combatti perché possano urlare più forte di me.
Perché possano vivere senza paura, mamma, proprio come ho vissuto io.
Mamma, non piangere le mie ceneri.
Se domani sono io, se domani non torno, mamma, distruggi tutto.
Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.

                

Foto dell’8 marzo 2024 a Firenze

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SE LA SALUTE NON È DI TUTT*, NON È SALUTE PUBBLICA! Non una di meno per l’applicazione delle linee di indirizzo per la RU486 e il finanziamento dei consultori in Toscana.

Pubblichiamo questo appello oggi, 20 novembre, giornata di sciopero di medicə, infermierə e professionistə sanitari in protesta contro la legge di Bilancio 2025, perché crediamo che un accesso alle cure e servizi sanitari per tutti e tutte debba necessariamente significare condizioni di lavoro degne per chi quei servizi li eroga.  Siamo al fianco di lavoratori e lavoratrici in sciopero. 

Pubblichiamo questo appello oggi, TDOR (Trans Day Of Remembrance), giornata di commemorazione delle vittime dell’odio e del pregiudizio verso le persone trans* perché difendere i consultori e la sanità di prossimità significa difendere la salute di tuttə, per permetterci di vivere felici e senza la paura di essere discriminatə anche quando abbiamo bisogno di cure.

La manovra finanziaria del governo Meloni proclama a gran voce di avere aumentato i finanziamenti alla sanità pubblica, ma i 136,5 Mld€ stanziati per il 2025 sono ben lontani dal  garantire il fondamentale diritto delle persone e della collettività alla tutela della salute previsto dall’articolo 32 della Costituzione. In termini di percentuale di Pil, il Fondo Sanitario Nazionale scende dal 6,12% del 2024 al 6,05% nel 2025 e 2026 (per poi precipitare al 5,9% nel 2027, al 5,8% nel 2028 e al 5,7% nel 2029).

Non Una di Meno ha sempre posto  al centro delle battaglie la difesa della sanità pubblica, denunciando come il Sistema Sanitario Nazionale venga eroso giorno dopo giorno, con servizi sempre più carenti e meno accessibili, rendendo l’accesso alle cure dei e delle pazienti ogni giorno più difficile – in molti casi impossibile da perseguire (secondo l’Istat 4,5 mln rinunciano a visite ed esami con 2,5 mln costrette da motivi economici)- mentre il personale sanitario è sempre più carico di lavoro, e con gli stipendi più bassi d’Europa.

Oltre al depotenziamento della sanità pubblica a favore di quella privata, assistiamo ai tagli a tutti i servizi di welfare, con la conseguenza che i compiti della riproduzione e della cura ricadono sui familiari, principalmente sulle donne, oppure su altre lavoratrici, per chi si può permettere di pagarle. In Italia, la mancanza di sostegno nell’accudimento dei figli e delle figlie, in particolare in presenza di minori con disabilità, o di altre persone della famiglia non autosufficienti,  come gli anziani, porta 1 donna lavoratrice su 3 dal lavoro a tempo pieno al part-time, aumentando il gender pay gap con gli uomini che hanno pari ruolo e competenze. Queste donne, come quelle costrette a lasciare l’impiego, sono maggiormente a rischio di controllo da parte dei propri partner e di violenza economica, e la scarsità di risorse economiche può costituire un deterrente nel separarsi anche in situazioni violente.

Si depotenzia sanità e welfare pubblici da una parte, ma si sceglie di investire nella guerra dall’altra: i miliardi di euro che verranno destinati alla spesa militare (31,3mld di euro nella manovra 2025, + 12,4% rispetto al 2024) sono l’espressione della cultura patriarcale che trova il suo apice nella militarizzazione della società.

In questo quadro generale, i consultori pubblici rappresentano un esempio di spazio socio-sanitario da tutelare, che a causa della carenza di finanziamenti è stato invece progressivamente depotenziato: in molti casi chiusi, in altri svuotati di personale o integrati nei distretti sanitari o nelle case della salute, i consultori si sono trasformati da spazi di relazione femminista a semplici erogatori di servizi, identificati spesso come  luoghi “per fare il pap-test” o per ottenere la certificazione IVG.

In Italia ci sono oggi 1.800 consultori, uno ogni 32.325 residenti, un numero molto al di sotto di quanto stabilito dalla legge n. 34/1996 e anche dal recente DM n. 77/2022 che prevedono 1 consultorio ogni 20.000  abitanti nelle zone urbane, e 1 ogni 10.000 nelle zone extraurbane, 1.800 sono quindi metà di quelli necessari per legge per servire tutta la popolazione. In Toscana al 31/12/2020 sono stati registrati 183 consultori familiari pubblici.

Nello spirito di una sanità pubblica, di prossimità e liberamente accessibile, tutte le prestazioni erogate dovrebbero essere gratuite e possono essere somministrate alle persone minorenni (anche senza la presenza dei genitori) e alle persone senza la cittadinanza italiana. Sin dalla fondazione dei consultori nel 1975, le prestazioni dovrebbero essere gratuite anche per gli stranieri e le straniere presenti sul territorio italiano, anche se temporaneamente. Purtroppo oggi molte prestazioni risultano a pagamento ticket, perché equiparate a prestazioni ambulatoriali e non consultoriali.

Oggi quasi la metà dei certificati necessari per l’ivg è rilasciata dai consultori, segno di come questi presidi sanitari rimangono, nonostante i bassi investimenti, un punto di riferimento per le donne e la comunità LGBTQIA+. Tuttavia anche la possibilità di certificazione per l’ivg è ora fortemente minata dalla recente approvazione dell’emendamento al Decreto Legge 19/2024 nell’ambito del PNRR, che prevede e rafforza l’accesso delle associazioni di antiabortisti nei consultori. Le Regioni, a cui spetta l’organizzazione dei servizi consultoriali, possono avvalersi del coinvolgimento di soggetti del terzo settore con “qualificata esperienza nel sostegno alla maternità”.

Nascondendosi dietro la promessa di non voler toccare la legge sull’aborto, il governo Meloni ha aperto le porte dei consultori agli anti-scelta proprio utilizzando l’articolo 2 della Legge 194/1978 che prevede che i consultori debbano “contribuire a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza” e per questo possono “avvalersi della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”. Da spazio gratuito, laico, aperto e accessibili a tuttə, nelle intenzioni del governo anche il consultorio diventa spazio di controllo dei nostri corpi e delle nostre vite.

Come nodi toscani del movimento transfemminista di Non Una di Meno, che dal 2017 si battono per il diritto alla salute sessuale e riproduttiva, vorremmo segnalare come l’accesso ai servizi di interruzione volontaria di gravidanza nei consultori nella nostra regione si strutturi a macchia di leopardo, con presidi consultoriali e case della salute che già si sono dotati autonomamente di protocolli che permettono l’ivg a domicilio (come i consultori di Empoli e San Miniato, o l’ex ospedale civico di Carrara, ora casa della salute) e altri come i consultori di Pisa, Firenze, Lucca, Livorno e Pistoia dove il servizio non è previsto.

Per permettere un accesso rapido, senza stigma e senza giudizio al servizio di interruzione volontaria di gravidanza, con protocolli che quantomeno si avvicinino alle ultime linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che consiglia una progessiva demedicalizzazione dell’aborto farmacologico in favore di un accesso più rapido, chiediamo che la Regione Toscana definisca urgentemente i nuovi protocolli applicativi della RU486 emanati dal Ministero della salute nel 2020, al fine di consentire l’avvio delle procedure “at home” per l’aborto farmacologico nei consultori.

Rileviamo inoltre in modo unitario una grande mancanza di servizi, accoglienza e personale qualificato per le persone migranti, con disabilità e per la comunità LGBTQIA+, e crediamo che la Regione dovrebbe farsi carico di fornire una risposta multidisciplinare ai bisogni dellə utentə e quindi che supporto psicologico e psichiatrico, assistenza endocrinologica, assistenza nell’iter di riassegnazione e cambio anagrafico, e mediazione culturale debbano essere servizi implementati in tutti i consultori della regione, con gli adeguati finanziamenti.

Rileviamo una carenza strutturale dei medici andrologi, e la conseguente mancanza di riferimenti per i giovani adolescenti, che, qualora volessero rivolgersi al consultorio, troverebbero nella maggior parte dei casi solo ginecologhə.

La medicina del territorio dovrebbe rispondere ai bisogni e alle esigenze delle persone, tutte, per poi poter fornire percorsi e assistenza. Puntando in particolar modo su prevenzione e informazione per tutto quello che riguarda la sfera sessuale nelle varie fasi della vita.

Chiediamo a gran voce che quando si parla di salute si intenda la salute di tutt*: uomini, donne, e comunità LGBTQIA+, nessuno escluso. Se la salute non è per tutt*, non è salute pubblica.

Non Una di Meno Firenze, Non Una di Meno Livorno, Non Una di Meno Lucca, Non Una di Meno Massa Carrara, Non Una di Meno Mugello, Non Una di Meno Pisa, Non Una di Meno Pistoia, Non Una di Meno Prato, Non Una di Meno Siena.

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SORELLA IO TI CREDO la nostra fanzine

In vista del 25 novembre, Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne, ripubblichiamo la nostra fanzine “SORELLA IO TI CREDO“.

Questo documento nasce dalle riflessioni dell’assemblea femminista e transfemminista di Non Una di Meno – Firenze. 

 Ci è capitato di incontrare situazioni di violenza, molestia, violazione del consenso, e di cercare di affrontarle per tentativi ed errori. Sono situazioni che hanno prodotto al nostro interno molto dolore, molte fratture, molta consapevolezza e molta crescita. 

Non sempre siamo sopravvissute-3. 

Questa fanzine è il frutto del percorso: desideriamo mettere in circolo ciò che abbiamo capito facendolo, ciò che ha funzionato o non ha funzionato, ciò che avremmo voluto leggere mentre vivevamo quelle situazioni.

Qui potete leggere e scaricare la Fanzine, la piramide della violenza e il glossario.

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LA RESISTENZA DELLE DONNE PALESTINESI

L’8 ottobre il nostro rito di sorellanza mensile per i femminicidi è stato dedicato al genocidio a Gaza.
Pubblichiamo di seguito l’intervento letto in piazza dai Giovani Palestinesi, sulla resistenza delle donne palestinesi.

Oggi volevo parlarvi del ruolo fondamentale che Le donne palestinesi hanno avuto nella resistenza: dal mandato britannico fino ad oggi, con la lotta contro la colonizzazione sionista. Le donne hanno sempre partecipato attivamente a movimenti di liberazione, assumendo posizioni di leadership e guidando azioni di resistenza che sono state ignorate e mistificate dalla narrazione occidentale.

La resistenza femminile non si limita agli eventi contemporanei, ma ha radici profonde: basta pensare a Tarab Abdul Hadi, una delle fondatrici del Congresso delle donne palestinesi e attivista contro l’occupazione britannica, e Fatima Bernawi, una delle prime a opporsi alla colonizzazione israeliana e la prima prigioniera politica palestinese.

Già nel 1936, le donne palestinesi di Baqa AlGharibiyeh presero d’assalto una prigione per liberare i prigionieri dai soldati britannici.

Zahrat al-Uqhawan, un’organizzazione femminile nata a Yaffa nel 1933, venne trasformata in un gruppo armato di sole donne per combattere l’occupazione britannica e la crescente violenza dei coloni sionisti.

Durante la Prima Intifada del 1987, le donne palestinesi assunsero un ruolo di primo piano nella mobilitazione contro l’occupazione israeliana, assumendo attivante il ruolo di leader dopo che molti uomini furono stati arrestati, o uccisi.

La Prima Intifada rappresenta un momento chiave nella storia della resistenza femminile. Le donne si mobilitarono a livello sociale e politico, organizzando scioperi, boicottaggi e azioni dirette contro l’economia sionista. Fu un movimento che unì donne di diverse generazioni, classi sociali e appartenenze politiche, dimostrando una capacità organizzativa straordinaria.

Le donne iniziarono a creare cooperative agricole e boicottare infliggendo gravi danni economici a Israele. Sfidarono le restrizioni imposte da Israele, che aveva chiuso scuole e università, organizzando lezioni clandestine per mantenere la formazione delle nuove generazioni.

Nonostante la brutale repressione israeliana, che includeva arresti di massa, le donne palestinesi continuarono a trovare soluzioni per portare avanti la resistenza. La loro determinazione attirò l’attenzione internazionale, persino degli Stati Uniti, i migliori alleati di “Israele”, intervennero per mediare i negoziati..

Le donne palestinesi sono sempre state una forza propulsiva dietro la lotta per la liberazione e hanno giocato un ruolo chiave in ogni fase della resistenza, ma sono state marginalizzate e dimenticate dalla narrazione Occidentale. La loro partecipazione è stata essenziale per il successo del movimento nazionale e per la lotta al patriarcato. La resistenza delle donne palestinesi è storica e continua e dimostra che una rivoluzione non può avere successo senza l’inclusione e il contributo attivo delle donne.

La resistenza femminile ha combattuto attivamente, e combatte ancora  il sistema coloniale israeliano, l’imperialismo e  il patriarcato;  la loro resistenza è anche la nostra resistenza. In tutta la Palestina, nei campi profughi e nella diaspora l’obiettivo è la liberazione dal colonialismo.

Non esiste una lotta femminista senza una Palestina libera!

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Con amore e rabbia, sorellanza con Gaza

L’8 di ogni mese Nonunadimeno Firenze compie un Rito di Sorellanza e denuncia di femminicidi e transicidi, apponendo il piazza SS Annunziata un lucchetto e un pañuelo per ogni vittima.

L’8 ottobre questa data segnerà anche un anno di genocidio a Gaza, un massacro un massacro perpetrato dal Israele con la complicità della comunità internazionale e del nostro governo, sprezzante dei diritti umani e delle pronunce dei tribunali internazionali e che nelle ultime settimane si sta estendendo anche ai territori della Cisgiordania prima ed ora del Libano.

Il nostro pensiero va a tutto il popolo palestinese e alle donne in particolare, a quelle uccise e ferite, che hanno visto morire figlie e figli, che stanno partorendo sotto le bombe senza la minima assistenza, che non hanno un posto sicuro in cui rifugiarsi, né acqua né cibo.

A Gaza sono in corso un genocidio e una catastrofe umanitaria.

Ad oggi si riportano:

– 43.000 morti negli ospedali (ma le stime sono prudenti), di cui 17.000 bambini e 11.100 donne

– circa 60.000 sono le donne incinte a rischio, a causa della mancanza di assistenza sanitaria

– 36 bambine/i vittime di denutrizione, 50 mila bambine/i che soffrono il fame e la sete, il 96% della popolazione di Gaza soffre di insicurezza alimentare

– 17.000 orfani, di entrambi o uno dei due genitori

–  96 mila feriti, Il 70% sono bambine/i e donne

– 900 vittime tra il personale sanitario e 80 della Protezione Civile, 31 (su 36) gli ospedali distrutti o danneggiati, 131 ambulanze distrutte

– 168 giornaliste/i uccisi

– 2 milioni di sfollati nella Striscia di Gaza

– 1 milione e 700.000 contagi da malattie infettive, 700 pozzi d’acqua distrutti e messi fuori servizio

– 121 tra scuole e università totalmente rase al suolo.

Disegno di un bambino di Gaza

L’8 ottobre in piazza vogliamo quindi che il nostro rito di sorellanza sia anche un momento di forte denuncia, per chiedere il cessate il fuoco, per ribadire la vicinanza e la solidarietà con il popolo palestinese e con tutte le vittime civili del conflitto.

Per questo invitiamo movimenti, gruppi, associazioni e tutte le persone che sostengono la Palestina ad essere con noi in piazza martedì 8 ottobre, alle 19:00 e a intervenire.

Con amore e rabbia

Nonunadimeno Firenze 

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28 SETTEMBRE – GIORNATA INTERNAZIONALE PER L’ABORTO LIBERO, SICURO E GRATUITO

Il 28 settembre è l’International Safe Abortion Day, la giornata internazionale dell’aborto sicuro.

In questa giornata scenderemo in piazza in tantissime città italiane per riaffermare il diritto di decidere sui nostri corpi e sulla nostra sessualità, conquistato grazie alle battaglie transfemministe.

La legge 194 è un testo controverso che non garantisce il diritto di scelta e di interruzione volontaria di gravidanza. Un diritto che è impedito dai pesanti tagli alla sanità e dall’altissimo numero di obiettori di coscienza tra il personale sanitario. Sono 11 le regioni in cui c’è almeno un ospedale con il 100% di obiettori: Abruzzo, Basilicata, Campania, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria, Veneto. Un diritto che è impedito anche alle persone trans, non binarie e intersex, e alle persone migranti, per le limitazioni in cui incorrono se possiedono il visto turistico. Un diritto che in questo modo diventa sempre più un privilegio di classe.

Dal suo insediamento, il governo Meloni ha sostenuto apertamente di non voler toccare questa legge, allo stesso tempo ha però sfruttato le sue debolezze assegnando fondi economici e dando legittimità politica ai movimenti anti-scelta e antiabortisti, aumentando gli ostacoli per accedere all’Interruzione Volontaria di Gravidanza. Proprio di questi giorni è la notizia dell’apertura della “stanza per l’ascolto” presso l’Ospedale Sant’Anna di Torino. Per questo da tempo chiediamo “molto più di 194!”.

Contemporaneamente, nel dibattito pubblico ha preso sempre più spazio la retorica a favore della difesa della vita dell’embrione contro ogni principio di autodeterminazione: dalla proposta di disegno di legge di Maurizio Gasparri con l’intento di “riconoscere capacità giuridica al concepito” al tour italiano di Pro Vita e Famiglia, aspramente criticato da collettivi e realtà dei territori dove finora è approdato.

Il governo Meloni sostiene campagne per la natalità ma  nei fatti, oltre a non supportare materialmente i genitori, promuove discorsi razzisti e omofobi per cui si difende solo un certo tipo di famiglia: tradizionale, eterosessuale e bianca. Noi invece vogliamo una difesa della genitorialità tutta, libera, consapevole, desiderata, supportata e mai imposta.

Il diritto di autodeterminazione sui nostri corpi è anche  clima di odio e misoginia promosso dalle istituzioni contro le soggettività trans e non binarie. Ed è per questo che il diritto all’aborto è fortemente legato con la libertà di scelta delle persone trans e non binarie che, in seguito alle ispezioni ministeriali all’ospedale di Careggi,  si sono viste negare i loro diritti con l’interruzione dei percorsi di affermazione di genere in atto.

Pretendiamo che il Servizio Sanitario Nazionale agisca nella tutela e garantisca i percorsi di affermazione di genere delle persone trans e non binarie.

Vogliamo che l’aborto sia una scelta autodeterminata: chiediamo che l’aborto farmacologico sia disponibile in tutti i consultori familiari come sancito dalla legge, che la RU 486 si possa assumere fino alla 12esima settimana come dalle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che chi vuole e ne abbia la possibilità possa abortire a casa, con la telemedicina o in autogestione. Non è impossibile, già accade nel Lazio e in altre parti del mondo. Ma, senza consultori per tuttə, tutto questo resta lettera morta.

Chiediamo che la Regione Toscana provveda urgentemente alla convocazione di un tavolo tecnico che definisca i nuovi protocolli applicativi della RU486 (risalgono al 2020), al fine di consentire l’avvio delle procedure “at home” per l’aborto farmacologico. Questi protocolli prevederebbero l’introduzione dell’IVG farmacologica proprio nei consultori, quegli spazi tanto contesi in queste settimane e negli anni a venire.

Non abbiamo bisogno di associazioni antiabortiste che cerchino di dissuaderci esercitando violenza psicologica. Abbiamo bisogno di finanziamenti pubblici ai percorsi di maternità, contraccezione, aborto e prevenzione già forniti dai consultori, che vengono però gestiti con difficoltà e fatica dal personale sanitario ormai stremato a causa di tagli e definanziamenti continui.

Vogliamo l’introduzione di una formazione specialistica sull’ IVG per le carriere universitarie in ginecologia. Vogliamo una maggiore sensibilità verso le persone non eterosessuali da parte del personale dei consultori: siamo stanchə di essere discriminatə per il nostro orientamento sessuale!

Insieme ribadiamo che sui nostri corpi decidiamo noi, che abbiamo sempre abortito e sempre abortiremo!

Non Una di Meno Firenze

  • Se hai bisogno di maggiori info sul percorso di interruzione volontaria di gravidanza farmacologica e chirurgica a Firenze puoi trovare tutte le informazioni sulla pagina di Greta (gruppo di accompagnamento all’aborto di Firenze)
  • Se hai bisogno di informazioni su percorsi di affermazioni di genere puoi rivolgerti a: Ireos comunità queer autogestita; Genderlens; Gruppo Trans* di Arcigay

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INGOVERNABILI CONTRO LA VIOLENZA PATRIARCALE

COMUNICATO SU 25N E PROVITA&FAMIGLIA

Il 25 novembre a Roma, una enorme e furiosa marea fucsia di oltre 500mila persone ha inondato la città, attivandosi in vari luoghi dove la violenza patriarcale si perpetra e riproduce.

Ci siamo fermatə anche di fronte alla sede di ProVita&Famiglia, per far risuonare la nostra voce e opporci a chi quotidianamente lavora per reprimere e limitare la nostra autodeterminazione.

La risposta delle forze dell’ordine, schierate con carabinieri antisommossa e poliziotti della celere a proteggere la sede chiusa, è stata dura, e diversə manifestanti sono statə feritə.

A riprova di come, al di là dei futili proclami propagandistici dei giorni precedenti da parte della polizia stessa, la violenza dello Stato si abbatta su chi provi ad alzare la voce, a reclamare la propria libertà di scelta e autodeterminazione.

Allə manifestanti feritə va tutto il nostro supporto e tutto il nostro amore.

Rifiutiamo non solo le accuse, ma anche la retorica neutralizzante che quelle accuse portano con sé. Non può esserci alcun compromesso sulla nostra autodeterminazione.

E non può esserci alcun paragone tra una forma di protesta e la violenza materiale che costantemente viene agita dalle organizzazioni che ostacolano l‘aborto.

Di scritte sulle serrande non si muore, di aborto insicuro sì.

Siamo dunque profondamente consapevoli dell’ipocrisia di chi pretende modi gentili e comprensione agendo, però, esattamente al contrario e ci rendiamo indisponibili a un dibattito che non tenga conto della reale aggressione che realtà come ProVita&Famiglia agiscono quotidianamente su di noi.

I ProVita&Famiglia sono un’associazione misogina, anti-scelta, espressione del patriarcato più becero, ma anche molto potente, influente e internazionale. Negli anni ha promosso una serie di campagne scientificamente infondate e violente, che abbiamo sistematicamente contestato. Da quella contro la pillola RU486 equiparata a veleno, con la donna “Biancaneve” a terra con una mela morsa in mano (2020), alla campagna “stop gender” con l’immagine col bambino triste, rossetto e fiocco rosa (2022). Più di recente la campagna “la vita vale sempre” (2023), che rappresentava, in una sorta di arco temporale, un feto, un neonato, un giovane con sindrome di Down, un profugo, una donna incinta, un anziano e un’anziana disabile, equiparando le loro vite. Hanno anche fatto un manifesto con l’immagine di un feto, utilizzando il nome del nostro movimento per ribaltarne il significato, in chiave antiabortista.

L’azione dei ProVita&Famiglia non si limita alle campagne: nel dicembre 2022, l’associazione ha diffidato le 156 scuole che hanno attivato la carriera alias, strumento con cui si riconosce dignità al vissuto di studentə, tentando di prevenire e contrastare stereotipi, discriminazioni e marginalizzazione.

Attualmente l’associazione sta portando avanti la proposta di legge “un cuore che batte” per integrare uno degli articoli della Legge 194. “Il medico che effettua la visita che precede l’interruzione volontaria di gravidanza” ai sensi della legge, “è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a far ascoltare il battito cardiaco dello stesso”. Una violenza inaudita, che prende esempio dalle scelte autoritarie di Orban in Ungheria.

Una modifica della 194 in questo senso legittimerebbe una pratica violenta già purtroppo portata avanti, nel nostro paese, da parte del personale medico obiettore nei confronti di chi vuole interrompere una gravidanza.

ProVita&Famiglia si inscrive in una fitta rete internazionale antiabortista e omolesbobitransfobica. La saldatura tra neofondamentalismo cristiano, destra populista e ambienti neofascisti si dà proprio sul tema dell’aborto, della famiglia tradizionale e della crociata anti-gender. A tale universo ideologico si rifà oggi una parte della Lega e di Fratelli d’Italia nonché realtà come Forza Nuova e Casa Pound, legami consolidati ormai da anni come ha dimostrato il Congresso mondiale delle famiglie a Verona nel 2019. I ProVita&Famiglia sono quindi parte delle destre suprematiste organizzate a livello nazionale e trasnazionale: crediamo che ogni spazio lasciato a queste associazioni e gruppi, sia uno spazio dove idee conservatrici, pericolose e violente si diffondono.

Ci hanno dato delle terroriste perché abbiamo avuto la forza di rispondere a quest’attacco, ma noi sappiamo cosa è violenza: sono violente l’ideologia e le campagne di questi gruppi, sono violenti gli anti-abortisti quando ci aggrediscono negli ospedali e nei consultori solo perchè siamo donne e persone che si autodeterminano nella scelta di abortire, ed è violenta la famiglia ciseteropatriarcale tradizionale che l’associazione ProVita&Famiglia vuole difendere a ogni costo, senza considerare che quella stessa famiglia ci uccide, ci violenta, ci sfrutta.

Quando all’affermazione di genere e alle scelte relazionali si risponde con percorsi psichiatrizzanti o con terapie riparative , si è complici dell’alto tasso di suicidio tra le persone queer e trans.

Le strumentalizzazioni di ProVita&Famiglia non ci preoccupano, sappiamo chi è che agisce violenza sui nostri corpi e sappiamo cos’è la violenza strutturale e patriarcale che subiamo: sono le forze dell’ordine che ci caricano quando lottiamo e che non ci credono quando denunciamo, sono i femminicidi a fronte dei quali il governo ci invita a osservare un minuto di silenzio e i transicidi e i puttanocidi sui quali, invece, il silenzio cala.

Continueremo a contrastare chi minaccia le nostre vite!

Saremo ovunque, perché quella che portano avanti è una guerra sui corpi tutti.

Fermiamo la violenza patriarcale in tutte le sue forme!

Amore e rabbia 💜✊🔥

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25 novembre 2023: manifestazione contro la violenza di genere

 

Anche questo 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza di genere, con più rabbia che mai e per l’ottavo anno consecutivo, Non Una di Meno ha chiamato la marea in piazza. Quest’anno siamo state in due città che per noi rappresentano bene l’urgenza di questo momento storico, a Roma e Messina, per permettere a più persone possibile di partecipare e organizzarsi contro la violenza patriarcale! La rabbia sale contro la violenza che evidentemente non è un fenomeno emergenziale, ma strutturale e in continuo aumento, e che conosciamo bene in quanto donne, persone non binarie e LGBTQIAPK, con disabilità, persone razzializzate, migranti e seconde generazioni, sex workers e detenutə, che la vivono quotidianamente in tutti gli ambiti delle proprie vite.

Il femminicidio di Giulia Cecchettin, avvenuto a pochi giorni dalla scadenza del 25 novembre, ha riacceso il dibattito pubblico e politico intorno al tema dell’insufficienza di misure di repressione e di inasprimento delle pene, terreno su cui, a partire dagli stupri di Palermo e Caivano, si è concentrata l’azione del governo Meloni a colpi di decretazione di urgenza razzista e classista.

Come diciamo e pratichiamo da anni, la risposta è in una trasformazione radicale delle condizioni culturali e sociali che producono violenza, abusi, discriminazione e marginalizzazione delle donne, delle soggettività lgbtqia+ e migranti.

Partiamo da questo inaggirabile punto, per affermare che il movimento femminista e transfemminisa ha sottratto in questi anni la giornata del 25 novembre da ritualità e mera testimonianza facendone una giornata di lotta.

Quelle di Roma e di Messina non saranno quindi piazze neutre ma saranno piazze di indignazione e di forza collettiva, di Marea transfemminista.

Non è il momento dei proclami, è il momento di ascoltare e di operare ognun3 secondo le proprie responsabilità istituzionali e politiche nelle sedi deputate a farlo. Tutto l’anno, non solo il 25 novembre.

Tuttə possiamo essere parte di questo processo, se vi partecipiamo.

È un processo in cui serve molta cura, serve ascoltarsi e abituarsi a non ragionare più per maggioranze, per votazioni. E’ un processo anche molto faticoso, in cui si tenta di attraversare i conflitti in modo costruttivo, ma decisamente è l’unico che possiamo provare a portare avanti per costruire una politica dal basso che provi a superare personalismi, leaderismi e competitività per lasciare il posto a una politica partecipativa, in cui ognunə mette il suo pezzettino quando e come può.

Non una di Meno negli anni e da anni è stata ed è attraversata da migliaia di donne, frocie, trans, lesbiche, intersex, asessuali, bisessuali, migranti, sex workers, detenutə, seconde e terze generazioni, persone con disabilità, cercando ci costruire pratiche includenti quanto radicali e non consentiamo a nessunx di strumentalizzare queste piazze e queste assemblee.

SIAMO E SAREMO PER SEMPRE MAREA !

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